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Luca Fontana
Test del prodotto

Chipolo One Point: pannolini, tracker e una missione di salvataggio allo Shoppi Tivoli

Luca Fontana
20/8/2024
Traduzione: Nerea Buttacavoli

Un normale test del Chipolo One Point si è trasformato in un pomeriggio caotico nel centro commerciale. Da un rapido ping a un inaspettato sacco della spazzatura, la mia ricerca del tracker mi ha condotto in un viaggio avventuroso.

Eccomi là. A terra. Nel bel mezzo del centro commerciale Shoppi Tivoli a Spreitenbach, Canton Argovia. Intorno a me: rifiuti, da scarti di frutta ammuffita a pannolini usati, sparsi con cura come un ventaglio steso alla corte di un re francese. Sentivo gli sguardi straniti della gente che passava. Avevo un solo pensiero in testa:

«Come diavolo sono finito in questa situazione di merda?».

Il piano: testare sul campo un tracker Bluetooth

Cinque ore prima.

I tracker Bluetooth di questo tipo non sono una novità. Ne ho testato un'intera selezione qualche anno fa. La vera novità è che il Chipolo One Point è uno dei primi tracker che può essere integrato nella rete «Trova il mio dispositivo» di Google. Un vero game changer nel gioco dei tracker Bluetooth – almeno per chi ha un cellulare Android.

Dopodiché puoi utilizzare Google Maps per raggiungere l'oggetto smarrito. O almeno per andargli abbastanza vicino da stabilire una connessione Bluetooth e fare il resto utilizzando la modalità «acqua, fuochino, fuoco» di cui parlavo sopra.

Scena del crimine: centro commerciale Shoppi Tivoli. È pieno di persone. E molte di loro hanno uno smartphone Android. Il piano di prova si svolge in questo modo:

Facile.

A quel punto non avevo la più pallida idea di cosa mi aspettasse.

Pausa dei ping e aumento dell'agitazione – il test prende velocità

Sono le 13:13.

Torno a casa. Ore 13:23. L'applicazione «Trova il mio dispositivo» mostra subito che il Chipolo One Point è stato visto l'ultima volta allo Shoppi Tivoli, tre minuti fa. Ottimo. Questo significa che un primo dispositivo Android ha già localizzato il One Point prima ancora che potessi contrassegnare il tracker come «smarrito» nell'app. Impressionante.

Almeno al piano superiore del centro commerciale, un po' remoto, la rete «Trova il mio dispositivo» non ha un punto cieco.

Nel corso del pomeriggio, ricevo un ping ogni dieci minuti circa, ovvero ogni volta che qualcuno si trova vicino al tracker e One Point si è connesso brevemente. Sorrido soddisfatto. Anche l'AirTag di Apple emette ping in modo assiduo, anzi molto più assiduo: ogni due o tre minuti circa.

Ore 16:00. Controllo di nuovo l'app.

«Strano», penso, la frequenza di ping diminuisce. O meglio: diminuisce da ogni dieci minuti a... silenzio radio. Passano 20 minuti senza alcun ping. 30 minuti. 40 minuti. 50 minuti. Il mio battito cardiaco aumenta di pari passo con l'ansia. Cos’è questa storia? Almeno l'AirTag di Apple ha emesso un ping 20 minuti fa. Non sembra essersi spostato molto.

È ora di andare al centro commerciale.

Il gioco del gatto col topo nel centro commerciale

Auto. Parcheggio. Ascensore. Scale. Eccolo lì, il ristorante Migros. Poi guardo nella fioriera dove avevo lasciato i tracker:

è vuota.

«Niente panico», mi dico con tono rassicurante, «non devi entrare completamente. La portata del Bluetooth di 60 metri dovrebbe essere sufficiente per consentire la connessione al dispositivo dall'esterno del negozio».

Tuttavia, non viene stabilita una connessione. Ovunque sia il One Point, non è qui. Quindi guardo di nuovo l'app: nessun nuovo ping da Google. Ma dall'AirTag di Apple sì, e improvvisamente ha una posizione completamente nuova. Poi, la realizzazione: il mio obiettivo si sta spostando! Ma come? E dove?

Inizia il gioco del gatto col topo.

L'inseguimento: tra speranza e sacchi della spazzatura

Mi affretto a percorrere i corridoi dello Shoppi Tivoli, con gli occhi costantemente puntati sui miei due cellulari, che mi indicano che i tracker sono effettivamente ancora in movimento. A volte dovrebbero trovarsi vicino all'H&M, poi al negozio Swisscom.

Di tanto in tanto ricevo anche un segnale diretto sul cellulare. Senza esitare, attivo la modalità «acqua, fuochino, fuoco» e il suono. Ma non riesco a sentire nulla nel rumore del centro commerciale. La modalità «acqua, fuochino, fuoco» indica che il tracker si sta allontanando da me fino a perdere nuovamente il segnale, ma non in quale direzione.

Sembra che il mio obiettivo sia piuttosto bravo a nascondersi.

Trascorro un'ora a vagare come uno scemo per il centro commerciale seguendo posizioni obsolete. La mia disperazione cresce. E se i tracker finiscono in un angolo dove il segnale Bluetooth non riesce più a passare? Poi, improvvisamente: di nuovo una connessione stabile. Attivo il suono: sento un bip silenzioso. Il mio cuore fa un balzo. «Finalmente», penso, e seguo il suono in direzione del negozio di mobili LIPO.

Un'addetta alle pulizie. Il suo carrello. Il suono del tracker One Point. Eureka! Ma aspetta, perché sta frugando nel sacco della spazzatura? «Ma cos'è questo rumore?», borbotta lei, visibilmente infastidita, «non ho proprio tempo per questo adesso».

Mi avvicino e le spiego che il suono proviene da un piccolo tracker che ho perso e mi offro di aiutarla a ritrovarlo. Non sembra molto contenta. Me lo dice il suo sguardo giudicante. Ciononostante, mi porge la scatola di guanti monouso. Quando riapre la pattumiera, vengo investito da un odore sgradevole. «Veramente?», penso. Ma ora non posso tornare indietro.

Pannolini, tracker e un'insolita missione di salvataggio

«Il continuo bip mi ha quasi fatto impazzire», mi rimprovera, «ho persino pensato che fosse una bomba!».

Giustamente. Pentito e imbarazzato di aver messo la povera dipendente in una situazione del genere, le spiego come funziona il tracker. Questo sembra essere d'aiuto. «Ah, esiste una cosa del genere?», chiede lei, non più così seccata, «È davvero pratico». La prossima volta che provo un tracker come questo, mi avverte di non lasciarlo in un posto dove gli addetti alle pulizie potrebbero prenderlo e gettarlo nel cestino. Annuisco umilmente.

E poi, in fondo al sacco della spazzatura, ecco che troviamo finalmente il Chipolo One Point e l'Apple AirTag.

«Evviva!», esultiamo entrambi sollevati. La accompagno nel suo giro per un po', dopo aver rimesso i rifiuti nel sacco della spazzatura e aver lavato il pavimento. Poi ci salutiamo, ridendo dell'assurda situazione in cui ci ha messo il mio test del tracker Bluetooth.

In breve

Buone premesse, ma non sul livello degli AirTag

Il test del tracker Bluetooth Chipolo One Point dimostra che ha sicuramente i suoi punti di forza rispetto a prodotti concorrenti come l'AirTag di Apple. L'integrazione nella rete «Trova il mio dispositivo» di Google, in particolare, è un grande vantaggio per chi non possiede uno smartphone Apple o Samsung. La rete di Google, infatti, aumenta notevolmente la portata e la precisione di localizzazione del One Point.

Tuttavia, esiste ancora un potenziale di ottimizzazione, soprattutto per quanto riguarda la frequenza di ping e l'accuratezza del tracciamento su distanze maggiori. A quanto pare, la rete «Trova il mio dispositivo» non sembra ancora essere attivata di default su tutti gli smartphone Android. A differenza di Apple e Samsung, Google utilizza solo la «posizione approssimativa» per impostazione predefinita quando attiva la rete. Questo è un bene per la privacy, ma meno per ritrovare gli oggetti smarriti.

Pro

  • integrazione nella rete «Trova il mio dispositivo» di Google
  • buona portata della connessione Bluetooth
  • connessione stabile in presenza di dispositivi Android
  • squillo forte per localizzare il tracker
  • risposta rapida dell'app quando il tracker è vicino

Contro

  • frequenza di ping irregolare
  • minore accuratezza nella determinazione della posizione al di fuori della portata
  • possibile incompatibilità con alcuni dispositivi Samsung
  • attivazione dell'app «Trova il mio dispositivo» su dispositivi Android di terze parti necessaria
  • il segnale Bluetooth può essere compromesso in aree molto frequentate
Immagine di copertina: Luca Fontana

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Scrivo di tecnologia come se fosse cinema – e di cinema come se fosse la vita reale. Tra bit e blockbuster, cerco le storie che sanno emozionare, non solo far cliccare. E sì – a volte ascolto le colonne sonore più forte di quanto dovrei.


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