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La maggior parte delle persone li vuole, ma molti non li capiscono: l'etichettatura degli alimenti
di Debora Pape
Gli alimenti vegetariani e vegani sono spesso etichettati per facilitarne la ricerca sugli scaffali dei supermercati. Tuttavia, questo può essere un problema per le aziende.
Probabilmente conosci anche tu l'etichetta rotonda e gialla «Vegan» sulle confezioni degli alimenti. Un po' meno frequentemente, il simbolo è disponibile anche nella variante verde «Vegetarian». Il V-Label è la più famosa etichettatura per alimenti vegetariani e vegani.
L'etichettatura ben visibile facilita l'identificazione degli alimenti privi di carne o a base esclusivamente vegetale. Secondo uno studio, sono soprattutto le generazioni più giovani a fare affidamento su questo label e a cercare specificamente l'etichetta.
D'altro canto, però, potrebbe allontanare chi è diffidente nei confronti dei prodotti vegetali. La rivista Vegconomist, che si occupa di notizie economiche nel settore vegano, ha intervistato sette manager del settore plant-based per conoscere la loro opinione e le loro esperienze su questo tema. I produttori devono trovare un equilibrio tra le esigenze dei clienti e le esigenze economiche: da un lato la richiesta di un'etichettatura trasparente, dall'altro la necessità di ottimizzare i profitti. L’uso marcato dell’etichetta «Vegan» viene visto con occhio critico da gran parte degli intervistati.
Attualmente, circa il nove percento della popolazione europea segue una dieta puramente vegetariana o vegana. A seconda del sondaggio, il gruppo dei flexitariani è significativamente più ampio. Secondo alcune stime, fino a circa il 50 percento di loro dichiara di ridurre consapevolmente il consumo di carne. All’estremo opposto si trova il gruppo di persone che non segue alcun particolare regime alimentare e consuma di tutto (onnivori).
Si tratta di un gruppo eterogeneo, che comprende anche persone che rifiutano categoricamente le alternative vegetali. Tuttavia, nel gruppo rientrano anche persone senza una posizione definita o che si mostrano aperte verso queste alternative.
Uno studio statunitense dimostra che le persone che non sono interessate a una dieta flexitariana, vegetariana o vegana sono meno propense ad acquistare prodotti con il V-Label. Per loro, questi prodotti significano privazione e perdita di sapore. Inoltre, i prodotti sono spesso più costosi.
Lo ha constatato anche Rebecca Göckel, co-amministratrice delegata di Nomoo. La sua azienda produce gelati esclusivamente a base vegetale. Dichiara di aver riscontrato molta diffidenza nei confronti della certificazione V-Label. Perciò, sarebbe più sensato pensare meno alle etichette e concentrare il marketing maggiormente sul gusto e su uno stile di vita moderno e consapevole.
Lo ha sperimentato anche Elisabeth Prein, amministratrice delegata di Pfeffer & Frost. Dopo l'introduzione di una linea di pan di zenzero vegano, ci sono state molte richieste da parte della clientela che voleva stornare un ordine accidentale della variante vegana.
Successivamente, l’azienda ha iniziato a produrre esclusivamente pan di zenzero su base vegetale, senza uova e miele, senza diffondere largamente il cambiamento. Il fatto che il pan di zenzero sia interamente vegano è riportato solo in piccolo e l'azienda ha rinunciato anche al V-Label. Grazie a questa azione, i riscontri negativi della clientela si sono praticamente azzerati.
Un approccio simile è suggerito anche dalla Prof.ssa Johanna Gollnhofer, docente di marketing e autrice dell’Università di San Gallo. L’uso frequente della parola «Vegan» ostacola la normalizzazione dell’alimentazione vegetale, poiché tende a scoraggiare una parte del pubblico.
Un’opzione più efficace sarebbe puntare su prodotti «accidentalmente vegani»: articoli che sono da sempre privi di ingredienti animali e già apprezzati dai consumatori, come la pasta italiana di semola, la composta di mele, la margarina o l’hummus. Così facendo, i prodotti a base vegetale potrebbero guadagnare quote di mercato in modo graduale.
Matthias Rohra, direttore di ProVeg Germania, riconosce l’utilità del V-Label, in quanto facilita la scelta dei consumatori e crea fiducia. Tuttavia, secondo la sua esperienza, le persone non vegane e non vegetariane potrebbero essere scoraggiate da questa etichettatura. Pertanto, raccomanda di scegliere con cautela le parole da usare sulle confezioni.
Anche Alexander Schmolling, direttore marketing di Feinkost Popp, azienda che offre anche paté e insalate vegani, afferma: il V-Label raggiunge sì il pubblico vegano, ma allontana gli onnivori. Etichette alternative, come «a base vegetale», aiutano ad abbattere barriere inconsce. A suo parere, la dicitura «Vegan» andrebbe inserita nei dettagli del prodotto. Ciononostante, la sua azienda utilizza attualmente il V-Label e la dicitura «Vegan», come dimostra la gamma di prodotti.
Tuttavia, lo stile di vita vegano non riguarda solo l’alimentazione, ma coinvolge tutti gli ambiti della vita quotidiana. Nel settore tessile, l’etichetta gialla V-Label non è presente. Sarah Kokal, fondatrice del marchio di moda completamente vegano we samay, ha deciso di rimuovere del tutto la parola «Vegan» a seguito di un’esperienza negativa. La clientela non riusciva a identificarsi con questo concetto. Pertanto, sono preferibili indicazioni come «privo di», «a base vegetale» o «certificato Peta».
Solo Renato Pichler, direttore generale di Swissveg, vede il V-Label in modo esclusivamente positivo. Egli sottolinea che questa certificazione segnala qualità e trasparenza, risultando discreta e priva di promesse di marketing esagerate. Inoltre, osserva che la clientela vegana cerca attivamente questo marchio, mentre al di fuori della comunità vegana l’etichetta viene o ignorata o accolta positivamente. A suo avviso, questo contribuisce alla normalizzazione dell'alimentazione a base vegetale.
Le imprese che intendono commercializzare prodotti esclusivamente a base vegetale devono ponderare con cura la loro strategia di marketing. Tra le opzioni ci sono, per esempio:
Sebbene vengano costantemente lanciati nuovi prodotti vegani sul mercato, spesso vengono anche ritirati perché non riscontrano un grande successo. Qualche settimana fa, McDonald's Austria ha rimosso dal menu l'hamburger McPlant perché la domanda era troppo bassa. Un esempio che dimostra che non esiste una formula perfetta per il successo commerciale dei prodotti vegani.
Per ora non è ancora chiaro quale sia la strada giusta per il loro successo duraturo. Le dichiarazioni delle dirigenti del settore offrono indicazioni, ma difficilmente sono rappresentative dell’industria nel suo complesso.
Per ricevere un aggiornamento su quali prodotti vegani vengono lanciati e ritirati dal mercato, segui il canale vegan novelties su Instagram.
Si sente a casa sia davanti al PC da gaming che sull'amaca in giardino. È affascinata dall'Impero Romano, dalle navi container e dai libri di fantascienza, tra le altre cose. Fiuta soprattutto le ultime notizie dal settore IT e smart gadget.
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