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Recensione

CS 1.6 richiama nostalgia: «It Takes a War» alla prova

Simon Balissat
6/11/2025
Traduzione: Leandra Amato

A prima vista, «It Takes a War» è una copia a basso costo di Counter-Strike 1.6. Ma diventa subito chiaro che è solo apparenza e che il gioco contiene una storia più profonda. Una di quelle che non dimenticherò in fretta.

La schermata iniziale è rudimentale. Vedo «Join Game», provo brevemente il mio microfono e vengo informato che non posso usare la chat vocale finché non ho completato la prima partita. Una misura precauzionale per evitare i troll.

Testo il microfono anche se non lo uso mai.
Testo il microfono anche se non lo uso mai.

Poi mi ritrovo in una mappa che potrebbe essere uscita direttamente da Counter-Strike 1.6, e in una squadra di amici che si conoscono e si scambiano allegramente battute. Round dopo round, cerchiamo di spazzare via la squadra avversaria. Cose sempre più strane accadono turno dopo turno. Porte dove prima non ce n'erano. Problemi improvvisi.

Potrebbe essere «Dust II», vero?
Potrebbe essere «Dust II», vero?

«Vogliamo giocare a CS?», suggerisce uno del gruppo. A quel punto, è già troppo tardi. Siamo intrappolati in questo mondo online di falsi amici e conoscenze fugaci. Le texture sono sbiadite, gli effetti sonori lo-fi. Eppure, sono tempi migliori. Un'infinita serie di turni a Counter-Strike che fanno da allegoria della crescita tra TeamSpeak e angoscia adolescenziale.

«It Takes a War» è un breve episodio di meno di un'ora che sembra molto più lungo. Uno spuntino che mi lascia nostalgia e rimorso e mi ricorda che internet non è sempre il luogo anonimo che si pensa. Di solito c'è una persona all'altro capo della rete...

«It Takes a War» è disponibile su Steam dal 6 novembre e costa meno di 10 franchi / euro.

In breve

Counter Strike kafkiano

«It Takes a War» riesce a fare in meno di un'ora qualcosa che la maggior parte dei blockbuster non riesce a fare in centinaia di ore: smuovere qualcosa in me. Counter-Strike 1.6 come reminiscenza e palcoscenico di una narrazione più ampia è audace, ma funziona. Uscire dal livello significa dover affrontare le proprie paure e confrontarsi con la realtà. Questo gioco di equilibri tra la familiarità virtuale e un luogo al di là della zona di comfort fa di «It takes a War» un'esperienza che permane come il colpo di una AWP.

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Quando 15 anni fa ho lasciato il nido di casa, mi sono improvvisamente ritrovato a dover cucinare per me. Ma dalla pura e semplice necessità presto si è sviluppata una virtù, e oggi non riesco a immaginarmi lontano dai fornelli. Sono un vero foodie e divoro di tutto, dal cibo spazzatura alla cucina di alta classe. Letteralmente: mangio in un battibaleno.. 


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