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Simon Balissat
Recensione

«Ghost of Yōtei» è ancora un open world?

Simon Balissat
25/9/2025
Traduzione: Leandra Amato

«Ghost of Tsushima» ha provocato un vero e proprio hype dei samurai cinque anni fa. Ora il successore «Ghost of Yōtei» apre il prossimo capitolo. L'avventura della protagonista Atsu in Hokkaido sarà all'altezza delle grandi aspettative?

«Ghost of Yōtei» è come uno di quei ricordi d'infanzia che sono abbastanza sicuro siano accaduti: vacanza in Italia, mia madre che fuma in auto con i finestrini chiusi mentre attraversiamo il tunnel del San Gottardo e io che spendo la mia paghetta nella sala giochi per «Mortal Kombat». È stata la vacanza più bella della mia vita.

«Ghost of Yōtei» è un videogioco e me lo fa capire sempre, a scapito dell'immersione. Ma alla fine non mi disturba mai perché «Ghost of Yōtei» è davvero bello e facilmente accessibile. Ma partiamo dall'inizio.

Vendicati del drago e dei suoi amici

È il 1603. Gioco nei panni di Atsu, la cui famiglia è stata uccisa davanti ai suoi occhi sedici anni prima nella sua terra natale, Hokkaido. Sopravvissuta al tentativo di assassinio, Atsu fugge nel Giappone continentale e combatte come mercenaria nella battaglia di Sekigahara. In seguito, torna in patria, a Hokkaido, per vendicarsi dei sei assassini della sua famiglia e diventare il leggendario fantasma di Yōtei.

Da straniera nella mia patria, per prima cosa chiedo consiglio agli abitanti del luogo, accetto lavori come cacciatrice di taglie e mi alleno con i maestri nell'arte delle armi. La gente del posto mi fornisce pettegolezzi sul gruppo di assassini noto come «i Sei di Yōtei», che gradualmente rintraccio e assicuro alla giustizia.

Di quanta libertà ha bisogno l'open world?

Gli sconosciuti diventano amici che vengono a trovarmi intorno al fuoco o che offrono i loro consigli e le loro merci nel villaggio vicino. Durante la conversazione, parlano di bei laghetti balneabili, santuari, grotte di lupi e altri luoghi. Li segno sulla mappa o li archivio in un indice che funge da registro delle missioni. Nei luoghi scoperti in questo modo mi aspettano piccoli compiti, che mi danno più punti salute, nuovi talismani, armature o altri bonus.

Fin qui, sembra proprio un mondo aperto. Il processo è sempre uguale: andare lì, completare un percorso o sconfiggere un avversario, raccogliere una ricompensa. A volte un PNG ribelle mi sorprende cercando di aiutarmi con la missione e poi pugnalandomi alle spalle. Oppure mi ritrovo faccia a faccia con un orso che sbuca improvvisamente da un bosco e mi attacca. In generale, gli eventi open world sono brevi, ridotti all'essenziale, ma molto variegati.

Le missioni principali, immediatamente riconoscibili dal simbolo d'oro, sono più lineari. Di solito sono ambientate in aree chiuse, quindi non posso sfuggire alla missione. Il mondo aperto si allontana e lascia il posto a spettacoli d'azione.

Si abbattono su di me granate, interi eserciti mi sostengono e attacchiamo insieme le orde nemiche, che di solito finiscono in un'opulenta battaglia uno contro uno. Nei duelli spettacolari, le katane brillano al tramonto e le foglie colorate volteggiano nell'aria. Un vero piacere.

Altre missioni richiedono un'abile azione di sgattaiolamento e di attesa, che diventa un gioco da ragazzi grazie alla meccanica di visualizzazione attraverso i muri. Spesso non posso scegliere se entrare in battaglia dall'ombra o a testa alta con la spada alzata, come impone il gioco. A volte devo sgattaiolare, altre volte i nemici mi assalgono in orde. Da appassionato di giochi di ruolo, mi sarei aspettato una maggiore flessibilità.

Kitsch a perdita d'occhio

Graficamente, «Ghost of Yōtei» è uno schianto. Sì, ci sono ombre spigolose, PNG con facce di plastica che fissano il vuoto e alberi che penetrano le montagne. Ma non importa, perché lo scenario complessivo è impressionante.

Il kitsch dell'Estremo Oriente in tutto il suo splendore. Ma è tutto così bello!

Sasso, carta, colpisci

Lo stesso non si può dire del gameplay. Mentre «Elden Ring» o «Death Stranding» sono spesso ingombranti in termini di gameplay, questa avventura di samurai è accessibile come un romanzo di Dan Brown: parata, attacco leggero, attacco pesante.

Da lontano, ho a disposizione anche due archi e un moschetto. La difficoltà standard «Media» perdona generosamente la scelta sbagliata dell'arma all'inizio. Ho giocato la maggior parte del gioco al livello «Letale», che è stata aggiunta al predecessore «Ghost of Tsushima» solo con un aggiornamento successivo. Di gran lunga il livello più divertente per me.

Uno o due colpi sono sufficienti per uccidermi. Ma i miei avversari non sono sacchi di sabbia che possono sopportare venti colpi di spada. Sei morto dopo un colpo non parato. Occhio per occhio, dente per dente. Una corsa alla cieca è la fine certa, l'uso tattico di tutte le armi e delle armi a fuoco rapido è obbligatorio. In alcune situazioni, ricevo un sostegno sotto forma di lupo. Non rivelo altro, altrimenti è spoiler.

Fortunatamente non è un gioco di ruolo

«Ghost of Yōtei» fa a meno dei classici elementi e attributi dei giochi di ruolo come «forza», «intelligenza» o «destrezza». Al loro posto, trovo armature che mi offrono dei vantaggi. Con un'armatura riesco a sgattaiolare meglio, mentre con un'altra i colpi alla testa causano più danni. Equipaggio anche vari talismani che offrono dei bonus e conservo queste combinazioni di armature e talismani in uno dei cinque slot.

Non potrebbe essere più semplice e accessibile. Mi incoraggia a sperimentare costantemente nuove build. «Ghost of Yōtei» fa a meno dei numeri. Invece di «12,3% di danni in più», si legge «moderatamente più danni». Mi dispiace per tutti i fanatici del min-max!

Infine, ci sono abilità che si possono apprendere e che hanno anche senso. Chiunque sia stato sopraffatto dall'enorme numero di abilità in «God of War» amerà questo gioco. Quasi tutti i punti abilità investiti sono immediatamente percepibili, ad esempio la possibilità di eliminare silenziosamente due nemici invece di uno, o lo sblocco di una semplice combo che provoca più danni.

Rispetta le regole!

Per me, anche il doppiaggio in giapponese è un must. Sì, non ho colto bene alcuni dialoghi perché non riuscivo a leggere i sottotitoli per la fretta. Essendo un veterano di JRPG e anime, sono abituato. Ma mi sembra strano che i samurai giapponesi parlino tedesco o inglese nel XV secolo. L'immersione è un must. A differenza del suo predecessore, anche i movimenti delle labbra nella versione giapponese sono ora corretti.

Alla fine, dopo 30 ore, ciò che rimane è una meravigliosa epopea di samurai spigolosa, che si attiene all'essenziale. È il gioco perfetto? Assolutamente no. Anche le vacanze in Italia non sono state perfette. Ma sono rimaste con me fino ad oggi.

In breve

L'open world è morto, lunga vita a «Ghost of Yōtei»

Il mondo di «Ghost of Yōtei» è vasto, bellissimo e funge semplicemente da scenario per i vari compiti che vi svolgo, a differenza di altri giochi dove è quasi un personaggio a sé stante. Non mi lamento, perché questo menu walk-in è davvero ben progettato.

Dietro la facciata kitsch si nasconde un'epopea d'azione samurai con Atsu come protagonista, un'affascinante antieroina, fredda e tormentata. La storia è prevedibile, molti cliché tipici del genere. Ma non importa. Mi piace il sistema di combattimento ridotto all'essenziale e il modo accessibile in cui posso passare da un archetipo all'altro con la semplice pressione di un tasto. A volte sono un ninja nell'ombra, altre volte un cecchino, altre ancora un carro armato umano.

Ma sono sempre una cosa: una tipa tosta. Per alcuni potrebbe sembrare troppo semplice e unidimensionale. Ma l'azione samurai ridotta al massimo mi ha davvero colpito.

Pro

  • Sistema di combattimento accessibile e flessibile
  • Presentazione cinematografica
  • Quest secondarie sorprendenti
  • Tipica storia di vendetta

Contro

  • Mondo aperto spesso solo di facciata
  • Imperfezioni grafiche
  • Tipica storia di vendetta
Immagine di copertina: Simon Balissat

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Quando 15 anni fa ho lasciato il nido di casa, mi sono improvvisamente ritrovato a dover cucinare per me. Ma dalla pura e semplice necessità presto si è sviluppata una virtù, e oggi non riesco a immaginarmi lontano dai fornelli. Sono un vero foodie e divoro di tutto, dal cibo spazzatura alla cucina di alta classe. Letteralmente: mangio in un battibaleno.. 


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