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Recensione

«F1: The Movie»: il film più calcolato dell'anno – e uno dei migliori

Luca Fontana
24/6/2025
Traduzione: Nerea Buttacavoli

Tutto in questo film urla «marketing». Solo che, a un certo punto, urli anche tu per quanto sei coinvolto. «F1: The Movie» è un esempio perfetto di come il cinema blockbuster possa essere al tempo stesso calcolatore e inebriante – deve solo essere fatto bene.

Questa recensione non contiene spoiler. Non svelerò più di quanto è già noto e visibile nei trailer. «F1: The Movie» è al cinema dal 26 giugno.

È un vero miracolo che questo film esista: per due anni, una troupe cinematografica ha fatto il giro del mondo con il circo della Formula 1. Brad Pitt ha guidato vere monoposto su veri circuiti, circondato da veri campioni del mondo in veri paddock. Il tutto come parte di un team fittizio di corse, con un proprio box e una propria auto da corsa – una monoposto di Formula 2, tra l'altro, ma modificata dalla Mercedes per sembrare quasi una monoposto di Formula 1.

Lo ha reso possibile Liberty Media, la titolare dei diritti e la nuova potenza della Formula 1. Vuole trasformare uno sport elitario, dominato dall'Europa, in un prodotto di intrattenimento globale con serie Netflix e gare di F1 in Paesi sempre più esotici – e ora con questo film.

È ancora cinema?

La storia – già vista, ma efficace

Il film racconta una storia già vista centinaia di volte, ma che funziona ancora alla perfezione: Brad Pitt interpreta il vecchio prodigio Sonny Hayes, che un tempo correva contro leggende come Senna, Prost e Schumacher fino a quando non è scomparso dalla scena dopo un tragico incidente. Ora, 30 anni dopo, torna per aiutare una squadra giovane e fallimentare, con un esordiente di talento ma con la puzza sotto il naso.

E per dimostrare qualcosa anche a sé stesso. In qualche modo. Qualcosa del genere.

Ti sembra familiare? Non c'è da stupirsi. «Top Gun: Maverick» ha raccontato la stessa storia tre anni fa, con i jet al posto delle auto di Formula 1. Il film non solo ha riscosso un immenso successo finanziario all'epoca, ma è stato anche celebrato dalla critica e dal pubblico come un blockbuster cinematografico che è molto più di un guscio vuoto. Forse è proprio questo il motivo per cui per il film di F1 è stato ingaggiato Joseph Kosinski come regista, che ha diretto anche «Maverick».

Non sorprende: Kosinski è un architetto dell'immersione. Pensa in termini di prospettive e di movimento. Anche in «Top Gun: Maverick», ha insistito sul fatto che Tom Cruise sia davvero seduto in aria – e la telecamera vede come il suo volto si contorce in una smorfia grottesca sotto la forza G. Ora fa la stessa cosa con Brad Pitt, che non finge di guidare ma guida davvero nel cockpit di un'auto di Formula 2 convertita.

Niente stuntman. Niente schermo verde. È tutto reale, conferma anche il produttore e sette volte campione del mondo di F1 Lewis Hamilton – ed è esattamente quello che vedi.

Il risultato non è un film sportivo che simula le corse, ma uno che ti catapulta nel bel mezzo dell'azione. La cinepresa è attaccata al cockpit, vicinissima e Pitt, e mostra il lavoro muscolare. Come il suo corpo si oppone alle forze centrifughe. Come la sua testa viene sbattuta avanti e indietro a ogni curva. La visiera traballa. Il respiro è affannoso. Poi Pitt guarda oltre il volante e vediamo, dalla sua prospettiva in prima persona, come le monoposto sfrecciano in curve strette, ruota a ruota.

Lavoro centimetrico a 300 km/h.

Anche al cinema sembra incredibilmente reale. Soprattutto quando il Sonny Hayes di Pitt sorpassa la Red Bull di Verstappen dopo una manovra al limite – filmata in diretta, a quanto pare nel bel mezzo della gara – e lui gli dice tutto con un inequivocabile gesto della mano.

«Sì, questa me la sono meritata», commenta maliziosamente Sonny.

Il calcolo incontra il cinema – e io sono felice di cascarci

So quanto sia calcolato tutto questo. Vedo l'agenda dietro questo film, il branding, la strategia. Riesco a percepire il marketing alimentato dal testosterone che risuona in ogni inquadratura. Eppure, sono seduto lì, sento il battito, sono proprio nel mezzo. Non cieco, non ingenuo, ma emotivamente realizzato. Perché? Me lo sono chiesto anche io. Davvero non sono migliore di così?

Perché qui è davvero tutto troppo pulito. Troppo perfetto. Sonny Hayes non è un uomo di contraddizioni, ma una campagna d'immagine su due gambe. Un genio della tattica, un mentore carismatico, uno spirito libero e ribelle, un autista molto attraente e appassionato... ah sì, ed è anche piuttosto bravo a mescolare le carte. La sua più grande debolezza è al massimo la sua arroganza. Ma anche quella ha un suo fascino.

Mi sembra quasi che il Cliff Booth di Pitt di «C'era una volta a... Hollywood» abbia cambiato genere.

Javier Bardem e Brad Pitt interpretano due ex piloti che vogliono scuotere la scena della Formula 1.
Javier Bardem e Brad Pitt interpretano due ex piloti che vogliono scuotere la scena della Formula 1.
Fonte: Warner Bros.

La Formula 1 non si becca nemmeno un graffio. Ovviamente. Liberty Media difficilmente avrebbe offerto la sua licenza se fosse stato altrimenti. Quindi non c'è doping, non ci sono intrighi e certamente non ci sono zone d'ombra morali. Solo paddock scintillanti, rivali leali, commentatori che spiegano anche l'ovvio in modo che tutti capiscano cosa sta succedendo («This is not where you want to be – last place») e messaggi motivazionali alla radio nei box. È come se a nessuno fosse permesso di uscire dagli schemi. Non ai personaggi, non allo sport, non al film.

Eppure, nonostante tutto, funziona.

Perché ciò che caratterizza Kosinski non è reinventare la ruota, ma farla girare dannatamente bene. I suoi film vivono di strutture collaudate che in realtà sono troppo prevedibili per funzionare. Eppure funzionano. Kosinski prende sul serio queste strutture. Non esagera i suoi personaggi, ma dà loro spazio. E invece di forzare il ritmo a tutti i costi, è interessato alle dinamiche tra i suoi personaggi stereotipati.

Damson Idris (a sinistra) interpreta una sorta di versione giovane di Lewis Hamilton, solo molto meno di successo.
Damson Idris (a sinistra) interpreta una sorta di versione giovane di Lewis Hamilton, solo molto meno di successo.
Fonte: Warner Bros.

Come anche in «Top Gun: Maverick», c'è tutto ciò che ci si aspetta: il grande ritorno, il giovane rivale e, naturalmente, la curva di volo eroica – pardon, la curva di gara. Ma nel mezzo ci sono scene che sorprendono. Nessun dramma, niente crisi esistenziali. Ma momenti che restano impressi, anche perché non cercano di essere più di quello che sono.

Kosinski capisce che un film non deve essere profondo per essere onesto. Soprattutto non un blockbuster con questa stravaganza visiva. Dura due ore e mezza. Non mi sono annoiato neanche per un secondo. Grazie anche alla colonna sonora di Hans Zimmer. Tutto ciò parla a favore del film – o forse sono proprio il tipo di spettatore che Liberty Media voleva: qualcuno che dubita, ma è comunque entusiasta del film.

Touché, credo.

In breve

Tra strategia mediatica e magia del cinema

In realtà, questo film non dovrebbe nemmeno esistere. Certamente non così. Non nel bel mezzo di veri weekend di gara, non con Brad Pitt in una monoposto di Formula 2 modificata e certamente non come undicesimo team in mezzo al paddock. «F1: The Movie» è un prodotto – chiaro. Un colpo di PR travestito da cavallo di Troia con cui Liberty Media vuole convincere anche gli ultimi scettici. Lo sento.

Ma sento anche un'altra cosa: la potenza di questo film. Il magnetismo. Le immagini. La vicinanza. L'eleganza con cui Joseph Kosinski trasforma una favola sportiva drammaturgicamente prevedibile in uno spettacolo audiovisivo messo in scena quasi troppo bene per essere vero. Certo, ci sono dei cliché. Certo, capisci subito dove andrà a parare. Eppure, ti ritrovi a fare il tifo. A volare con loro. A correre con loro. Io, almeno.

Per chi ha uno spirito critico, tutto questo potrà sembrare troppo edulcorato. Troppo liscio, troppo levigato. Ma per me, è soprattutto una cosa: grande cinema blockbuster immersivo. Certo, avrei potuto dargli solo quattro o addirittura tre stelle per via dei cliché, dei personaggi patinati e della prevedibilità della trama. Ma sai che c'è? Questa è la mia recensione. Quindi decido io quante stelle dare. E io dico: un film così autentico, nel mondo del racing, non ci sarà una seconda volta. E purtroppo è stato una figata pazzesca. Quindi chissene.

Cinque stelle. Punto.

Immagine di copertina: Warner Bros.

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La mia zona di comfort consiste in avventure nella natura e sport che mi spingono al limite. Per compensare mi godo anche momenti tranquilli leggendo un libro su intrighi pericolosi e oscuri assassinii di re. Sono un appassionato di colonne sonore dei film e ciò si sposa perfettamente con la mia passione per il cinema. Una cosa che voglio dire da sempre: «Io sono Groot». 

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