
Opinione
«Andor» rompe un tabù
di Luca Fontana

Il 2025 ci ha regalato di tutto: serie frustranti, serie appassionanti, fin troppe serie. In redazione abbiamo discusso a lungo, abbiamo riso e ci siamo anche disperati. Ma alla fine siamo arrivati a una manciata di serie preferite. Ovvero queste qui.
Non so cosa sia stato peggio nel 2025: la quantità eccessiva di serie o la mia lista di cose da vedere, che ormai supera la capacità di memoria del mio cervello. E la redazione non è messa molto meglio. Colleghi e colleghe continuano a raccomandarmi serie che «devi assolutamente vedere, Luca, sul serio!».
Il risultato finale è una lista tanto eterogenea quanto il nostro consumo di caffeina durante l'orario di lavoro. Ed eccoti quindi le serie che ci hanno più appassionato, sorpreso o levato il sonno nel 2025.
«Andor» non è solo la migliore serie di «Star Wars», ma anche una tra le migliori serie degli ultimi anni. Punto e basta. La seconda stagione riconferma ulteriormente questo concetto. Cinque anni prima della distruzione della prima Morte Nera, la Ribellione non era ancora un movimento, bensì una fragile rete di singoli gruppi parzialmente radicalizzati. Qui non troverai Jedi, né fan service, né storie eroiche con una rete di sicurezza morale. Tony Gilroy, produttore della serie, descrive invece con precisione chirurgica il costo reale della resistenza a livello umano, politico e morale.
Gilroy mostra un impero non caratterizzato dalla solita malvagità caricaturale, ma da una spietata burocrazia di sterminio. E mostra una Ribellione disposta a sacrificare la propria integrità pur di avere una qualche possibilità di vittoria. Dialoghi e monologhi restano impressi nella memoria, la tensione non nasce dall'azione, ma dalle decisioni. E con un budget degno di un film cinematografico, «Andor» non è solo visivamente e narrativamente imponente, denso e inesorabile, ma anche un caso eccezionale... e per me la migliore serie dell'anno.
Dove: Disney+
A mio parere «A Life's Worth» è la serie drammatica più straordinaria dell'anno, perché racconta la realtà della guerra in Bosnia nel 1993 con un raro mix di autenticità, profondità emotiva e precisione documentaristica. Protagonisti della storia sono quattro giovani soldati svedesi – Forss, Babic, Strand e Kilpinen – e il loro comandante Andreasson, che, come membri del primo battaglione svedese dell'ONU, si trovano coinvolti in un conflitto che mette a dura prova ogni concetto di neutralità. La serie mostra con grande efficacia quanto sia difficile mantenere la propria umanità quando le regole della missione di pace e gli imperativi morali del momento sembrano inconciliabili.
Mi ha colpito in particolare la credibilità con cui «A Life's Worth» tratta i temi della guerra e della morale. A partire dai ricordi e dal testo letterario di Magnus Ernström, la serie descrive con straordinaria essenzialità il dilemma interiore dei soldati. Il comandante Andreasson personifica in modo esemplare questo conflitto interiore: la spinta a intervenire e proteggere e, allo stesso tempo, il dovere di attenersi agli ordini, anche quando questi sono in contrasto con qualsiasi istinto umano. La regia puntuale e le ottime interpretazioni del cast – in particolare di Toni Prince ed Erik Enge – conferiscono ai personaggi una profondità che rende il contenuto storico immediatamente fruibile.
Dove: Arte
Quando devo scegliere una serie, ho sempre il problema che mia moglie non sopporta la violenza, sia fisica che psicologica. Comprensibilmente. Ma in questo modo devo subito escludere serie come «Blacklist», distopie tipo «Silo» e altre opere simili.
Invece «The Diplomat» rientra perfettamente nella tipologia consentita: la storia della diplomatica Kate Wyler (interpretata da Keri Russell), che improvvisamente diventa ambasciatrice degli Stati Uniti in Gran Bretagna, è estremamente avvincente. I dialoghi sono profondi, ma conditi con leggere spolverate di umorismo. «The Diplomat» ti fa vedere cosa accade dietro le quinte del potere, ti mostra intrighi e dilemmi morali, la lotta dei buoni contro il male o anche solo contro l'ignoranza. I personaggi, in particolare Hal Wyler (Rufus Sewell), marito di Kate, hanno spessore e carattere. Dovunque traspare lo stile di Deborah Cahn, che già in «Homeland» aveva dato prova, come autrice e produttrice, di sapere gestire la suspense.
Purtroppo, gli otto episodi della terza stagione sono terminati troppo rapidamente. Fortunatamente era già stato annunciato che Netflix avrebbe continuato a produrre «The Diplomat». Quindi ci sarà una quarta e persino una quinta stagione. Qui puoi leggere una recensione approfondita di «The Diplomat» scritta da Luca, il guru dei film e delle serie TV.
Dove: Netflix
Madonna, se ti servono nervi saldi per questa serie! Perché quello che ti combina Seth Rogen nei dieci episodi della serie comica satirica «The Studio» – in qualità di creatore e protagonista – è caotico, stressante e l'incarnazione stessa del cringe.
Nei panni di Matt Remick, neo-nominato direttore dello studio cinematografico hollywoodiano Continental, cerca (disperatamente) di conciliare la sua profonda passione per il grande cinema con l'immensa pressione di produrre blockbuster che siano economicamente redditizi. Insieme al suo team composto da personaggi squisitamente fuori dalle righe, come Maya Mason (Kathryn Hahn), responsabile marketing collerica e senza filtri, e il suo nevrotico vice nonché yes-man Sal Saperstein (Ike Barinholtz), resta invischiato in più bugie, controversie e disastri di quanti tu ne possa contare sulle dita di due mani.
Cerca di resistere fino alla fine, frenando l'imbarazzo che provi per questi personaggi. Anche solo per gli innumerevoli camei di ospiti eccellenti, da Charlize Theron a Martin Scorsese, e per gli ultimi due episodi, in cui l'intero caos culmina in un involontario e allucinogeno delirio a Las Vegas.
Dove: Apple TV
«Adolescence» è un caso eccezionale sotto molti aspetti: una miniserie di soli quattro episodi, ciascuno dei quali è una singola sequenza senza tagli, non ci sono eroi o eroine e di certo non c'è un lieto fine. Eppure, la settimana della sua uscita, la serie è stata la più guardata su Netflix.
La storia del tredicenne Jamie, sospettato di aver ucciso la compagna di classe Katie, ti tocca nel profondo. L'autore e attore Stephen Graham non si limita a puntare semplicemente il dito contro gli aspetti problematici di internet. Sarebbe stato facile cercare le colpe nel mondo degli incel e nella manosphere, dove influencer come Andrew Tate o Jordan Peterson predicano una visione misogina del mondo attirando frotte di giovani insicuri.
«Adolescence» va oltre tutto questo e cerca anche spiegazioni per qualcosa che è difficilmente spiegabile. La serie affronta con grande efficacia tematiche come lo stress del personale docente, il sovraccarico fisico e mentale dei genitori, il cyberbullismo e la mancanza di competenze nel campo dei media. La critica sociale di cui è portavoce è stata così forte da scatenare un dibattito sulla misoginia nel Regno Unito. E anche questo è un caso eccezionale per Netflix, spesso accusata di proporre al pubblico serie televisive poco impegnative, basate sempre sulla stessa formula.
Dove: Netflix
Il thriller farmaceutico di animazione «Common Side Effects» è tanto raro quanto il fungo miracoloso che è al centro della storia. Il protagonista Marshall scopre nella giungla un tipo di fungo che apparentemente può curare qualsiasi cosa. La sua missione è rendere questa cura accessibile a tutti, indipendentemente dalle disponibilità economiche. Ma Marshall ha fatto i conti senza la DEA, l'FBI e Big Pharma. Quando la situazione si fa troppo complessa per lui, contatta la sua vecchia compagna di scuola Frances. Il problema è che lei lavora proprio per il gigante farmaceutico Reutical. Mentre Frances combatte contro i propri demoni e si prende cura della madre malata, deve prendere una decisione: dare una mano al caotico Marshall o avere fiducia nella gestione dell'azienda?
Intelligenza, umorismo e stile si fondono qui in un tutt'uno armonico difficilmente replicabile. La serie è particolarmente efficace nel presentare le strutture di potere. Quando Rick, il capo di Frances, la conduce sull'eliporto e le dice con atteggiamento paterno: «Ora siamo quelli dell'elicottero, non ci preoccupiamo dei problemi lì sotto», ci corre un brivido lungo la schiena. «Common» non è un prodotto semplice. La serie celebra l'abbondanza visiva. A livello grafico alterna sapientemente il grazioso e il grottesco, le animazioni sono stranianti e straripanti di dettagli, come quando un killer si riflette nella lamiera ondulata di un food truck. Se cerchi una serie che ti impegni tanto la mente quanto la vista, questa fa senz'altro al caso tuo.
Dove: Sky Show
Io sono una che apprezza il progresso tecnologico, ma da anni «Black Mirror» mi spinge a pensare il contrario. Con le sue storie brevi, diverse da un episodio all'altro, la serie mostra in modo drammatico le conseguenze sull'uomo e sulla società di sviluppi quali l'IA, la robotica, la realtà virtuale, la meccanica quantistica, i social media e molto altro ancora. Ogni volta, spinge in un angolo il mio cervello tendenzialmente ottimista e lo fa piangere.
Alcuni episodi sono più simili a finzioni futuristiche, ma gli sviluppi tecnologici mostrati non sembrano poi così lontani. Raramente gli esperimenti mentali nella serie hanno un esito positivo. E la causa non è tanto la tecnologia in sé, quanto le persone che la utilizzano.
La settima stagione uscita nel 2025 inizia con il botto già dal primo episodio: immagina che tua moglie possa continuare a vivere solo grazie a un abbonamento a pagamento. E il fornitore continua a ridurre la qualità dei servizi per spingerti a sottoscrivere un abbonamento sempre più costoso. Può agire in questo modo proprio perché la vita dell'abbonata dipende letteralmente da questo. Fino a che punto arriveresti per tenere in vita tua moglie? D'ora in poi guarderò gli abbonamenti con ancora più diffidenza.
Dove: Netflix
«Absentia» ci ha provato tre volte prima di diventare un successo mondiale. La serie televisiva americano-israeliana aveva debuttato nel 2017 sul canale televisivo a pagamento AXN, non a livello mondiale, ma su alcune emittenti europee. AXN ha girato altre due stagioni, poi la serie thriller è rimasta per anni a prendere polvere nell'archivio di Prime Video. Quest'autunno Netflix ha messo in programma tutte e tre le stagioni, che si sono presto piazzate ai primi posti delle classifiche delle serie. E giustamente, secondo me.
La serie ha una struttura molto convenzionale, ma il conflitto che dilania i protagonisti la rende comunque originale e avvincente. La storia ruota intorno a Emily Byrne, agente dell'FBI, che ricompare improvvisamente dopo essere scomparsa per sei anni senza lasciare traccia. Non solo deve indagare sul proprio caso, ma anche combattere contro i propri demoni interiori e problemi personali.
La protagonista è interpretata magistralmente da Stana Katić, che conosciamo dalla sua interpretazione della detective Kate Beckett nella serie poliziesca «Castle», al fianco di Nathan Fillion. L'attrice protagonista Katić è anche produttrice della serie ed è forse per questo che sembra tutto così armonioso. Non sono soltanto i casi dell'FBI a essere appassionanti, ma anche il fatto che i personaggi abbiano tutti una certa profondità.
Dove: Netflix
Succede raramente che una serie mi catturi fin dal primo minuto, come ha fatto «American Primeval». Cruda, brutale, poderosa. Di certo non per tutti. Per una volta, un western che non ripropone la solita visione romanticizzata del selvaggio West.
La storia si svolge nel 1857, nel territorio dello Utah. Qui si acuisce il conflitto tra l'esercito statunitense e la legione mormone di Nauvoo. Subito all'inizio, una milizia mormone assalta una colonna di coloni. La telecamera resta sempre incollata ai personaggi e coglie ogni ferita, ogni nuvola di polvere e ogni respiro. Alcune scene sono così dirette e intense che si sopportano a stento. L'attacco mostra quanto il fanatismo religioso e la rivendicazione del potere politico condizionino la vita in questo mondo ostile. In tutto questo caos, anche le tribù indigene cercano di proteggere la loro terra finendo così intrappolate tra due fuochi.
Al centro di tutto vi sono persone segnate dalla violenza, dallo sradicamento e dalla brama di sopravvivere. Un veterano alla ricerca di un po' di tranquillità. Una madre che vuole proteggere il figlio. Un ragazzo cresciuto troppo in fretta. Le loro strade si incrociano in un'America che sta nascendo e che devasta tutto ciò che incontra sul suo cammino.
A mio parere, è il western più intenso dell'anno: storicamente accurato, messo in scena senza compromessi e così cupo che si respira quasi l'odore della polvere da sparo.
Dove: Netflix
Come prima cosa: meno cose sai prima di guardare «Paradise», meglio è. Limitati, se proprio vuoi, a guardare il trailer qui sopra, che fortunatamente non rivela molto, e a questa descrizione della trama: un mattino il presidente degli Stati Uniti Cal Bradford (James Marsden) viene trovato morto nella sua camera da letto. È stato assassinato, ma da chi? Il primo sospettato è Xavier Collins, l'agente dei servizi segreti che è stato il primo a scoprire il presidente deceduto.
Non ti dirò altro. Preparati invece a una serie infinita di colpi di scena. In «Paradise» niente e nessuno è come sembra. Il sopra è sotto e il sotto è sopra, e quando pensi di avere capito tutto... ti sbagli di grosso! Quello che invece è certo, è che stai per assistere a una suspense senza fine e a un intrattenimento seriale di altissimo livello.
Il merito va, innanzitutto, al cast selezionato, capitanato da Sterling K. Brown, che regala una performance stellare nel ruolo del tormentato Xavier Collins. Ma anche James Marsden («Dead to me») e Julianne Nicholson («Mare of Easttown») non sono certo da meno. Come già anche in «This is us» (sempre con Sterling K. Brown), lo showrunner Dan Fogelman dà prova del suo straordinario talento nei timing perfetti: in «Paradise» nessuna informazione viene rivelata troppo presto e nessun segreto troppo tardi. Anche l'intensa e suggestiva cover di «Another Day In Paradise» di Phil Collins arriva al momento giusto. Mi è tornata la pelle d'oca!
È un thriller politico? O un classico poliziesco? Qualcosa di completamente diverso? O magari tutte queste cose insieme? «Paradise» è quello che è: una serie assolutamente grandiosa, che tra l'altro parte con la seconda stagione già il 23 febbraio 2026 (non metto il link al trailer per non rovinarti la sorpresa). Perciò, non rimandare la visione della mia serie preferita del 2025 e guardati subito «Paradise»!
Dove: Disney+
«Pluribus» è qualcosa di totalmente diverso da qualsiasi serie televisiva che abbia mai visto. In un oceano di produzioni in streaming ottimizzate per gli algoritmi e pensate per le masse, l'originalità di questa serie è una boccata d'aria fresca. La nuova opera di Vince Gilligan, ideatore di «Breaking Bad» e «Better Call Saul», si prende il suo tempo. Si affida alla capacità del suo pubblico di pensare con la propria testa. Punta su personaggi complessi, sfumature e misteri invece che su colpi di scena dozzinali, scene d'azione senz'anima e irritanti cliffhanger.
Di che cosa parla «Pluribus»? È difficile rispondere senza spoilerare. Ecco perché cercherò di rimanere il più vago possibile. L'intera umanità è infettata da un virus sconosciuto. Ma niente paura: non è un'apocalisse zombie, al contrario. Tutte le persone infette trovano la pace interiore e diventano felici: da qui anche lo slogan ufficiale della serie: «La felicità è contagiosa». Solo la protagonista della serie, la scrittrice Carol Sturka, è immune all'agente patogeno. Lei continua a essere infelice e deve affrontare un mondo pieno di persone sorridenti e sempre più bizzarre.
Naturalmente, dietro a tutto questo c'è molto di più di quanto si possa intuire inizialmente. Il mistero del virus della felicità viene progressivamente svelato. La serie è un'insolita miscellanea di dramma, studio dei personaggi, mystery box e lezioni di filosofia. È un «fuoco lento» che ti ripaga, se hai la pazienza di perseverare e riflettere. E la cosa fantastica è che anche dopo sei episodi, non ho la minima idea di dove mi condurrà la serie.
Dove: Apple TV
Chi ha i migliori gusti in fatto di serie?
Scrivo di tecnologia come se fosse cinema – e di cinema come se fosse la vita reale. Tra bit e blockbuster, cerco le storie che sanno emozionare, non solo far cliccare. E sì – a volte ascolto le colonne sonore più forte di quanto dovrei.
Questa è un'opinione soggettiva della redazione. Non riflette necessariamente quella dell'azienda.
Visualizza tutti