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Marvel Studios / Disney
Recensione

«Thunderbolts»: quando la Marvel torna finalmente ad avere un senso

Luca Fontana
29/4/2025
Traduzione: Leandra Amato

«Thunderbolts» sembrava un film riempitivo. Invece si rivela essere una grande liberazione per il Marvel Cinematic Universe che aveva perso la retta via. Crudo, onesto, tutt'altro che debole – e proprio per questo lascia il segno molto più di tutto ciò che è stato prima.

Questa recensione non contiene spoiler. Non svelerò più di quanto è già noto e visibile nei trailer. «Thunderbolts» è nei cinema dal 1° maggio.

Prima ancora che venga pronunciato il primo dialogo, «Thunderbolts» ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere. Parte l'iconica intro Marvel, ma si interrompe. Strumento dopo strumento. Ciò che rimane è il silenzio. Un vuoto che pesa. Un'oscurità più nera dell'oscurità stessa. È proprio qui che entra in gioco «Thunderbolts», in questa ferita aperta.

Non me l'aspettavo.

Quando la Marvel ha annunciato «Thunderbolts», sembrava un film di ripiego: un film su personaggi che nessuno aveva davvero nella sua lista dei desideri. Yelena? Lo Spettro? John Walker? Red Guardian? Simpatico, naturalmente. Ma i personaggi principali?

Eppure, quello che ho visto non è uno stanco tentativo di dare un po' di brio ai personaggi secondari. È un gruppo rock dannatamente forte che si riunisce. Un film che diverte, ferisce e guarisce, spesso allo stesso tempo. Ma soprattutto che dà finalmente una nuova direzione all'Universo Cinematografico Marvel.

Anime spezzate in missione

Forse è proprio questa la chiave: «Thunderbolts» non è un'avventura patinata alla «Captain Marvel» o «Doctor Strange nel Multiverso della Follia», dove la storia è molto curata e messa in scena in modo sfarzoso, ma molti conflitti emotivi rimangono superficiali. Questo film è più che altro una cavalcata infernale per anime distrutte.

Yelena Belova, Bucky Barnes, Red Guardian, lo Spettro, Taskmaster e John Walker: tutti portano con sé più macigni di quanto non ammetterebbero mai. E tutti loro vengono mandati in missione da Valentina Allegra de Fontaine che non è altro che una trappola. Una trappola mortale. Per loro.

Ma piuttosto per quello che sono diventati – e per quello che forse potrebbero ancora essere.

La trama è abilmente realizzata in modo da non sembrare mai una mera costruzione. Non si tratta di inseguire un MacGuffin o di salvare il mondo dalla centesima apocalisse. Si tratta di qualcosa di molto più intimo: la sopravvivenza. Non in senso letterale. Piuttosto emotivo. Chi può sapere se dalla disperazione può nascere qualcosa, come una nuova casa?

Il fatto che questo gruppo disfunzionale di persone diventi l'ultima speranza non è mai scontato. Neanche per un secondo. Perché «Thunderbolts» capisce qualcosa che il MCU ha spesso perso negli ultimi tempi: non sono i poteri o i costumi a rendere i personaggi interessanti, bensì le loro cicatrici. E questi antieroi ne hanno in abbondanza.

Sentry e il buco nero dentro di noi

«Thunderbolts» non rimane mai in superficie. Dietro l'aspetto ruvido, dietro le battute incisive, i combattimenti superbamente inscenati e l'elegante sarcasmo, si cela qualcos'altro. Un'oscurità che non può essere semplicemente cancellata.

Tutti i personaggi di questo film portano un vuoto dentro di sé. Questo silenzio noioso e totalizzante, alimentato da promesse non mantenute, sensi di colpa e desiderio non soddisfatto. Non è il tipo di depressione che grida aiuto. È più «pacata». Il tipo che ti prosciuga le energie prima ancora che tu te ne accorga.

L'eroe come prigioniero del proprio vuoto.

«Thunderbolts» non trasforma questo aspetto in un motivo nascosto o in una sottile allusione. La metafora è ovvia e altrettanto intenzionale: la depressione come abisso e buco nero che inghiotte la luce e la speranza. È proprio qui che risiede la grandezza del film: non ne fa un pathos da quattro soldi né un melodramma esagerato, ma regala piccoli gesti, sguardi interrotti, un'esitazione troppo lunga prima di allungare una mano: «Sono ancora qui».

Nessuno incarna questo fragile equilibrio come Yelena Belova. Florence Pugh, ancora una volta fantastica, rende Yelena non una cinica eroina d'azione, ma il centro emotivo del film. Il suo modo di sopravvivere all'oscurità non è eroico. È umana e vulnerabile. Ostinata, eppure con un calore che riaffiora ogni volta, proprio quando tutto sembra perduto.

Forse è questa la verità di questo film. Non si tratta di sconfiggere l'oscurità. Si tratta di sopportarla. Per tenerle testa in qualche modo. E da qualche parte, prima o poi, forse si intravedrà una piccola luce.

Absolute Cinema: il contrattacco della Marvel

Eppure «Thunderbolts» non si perde mai. Nonostante tutta l'oscurità, nonostante tutte le cicatrici interiori, rimane qualcosa di inconfondibile: quella sensazione di rock band impetuosa, che ci ha colpiti dritti al cuore con «Guardiani della Galassia» di James Gunn nel 2014, completamente impreparati.

Solo che non sono cinque folli avventurieri spaziali a ritrovarsi qui, ma disadattati che si portano dietro l'un l'altro, si mettono in discussione e crescono nel frattempo. «Thunderbolts» è forte e divertente. A volte triste. Spesso esilarante. Sempre onesto. E così caotico da risultare bello.

Questo è – scusa il francesismo – f*ttutamente geniale.

In questo trailer, «Thunderbolts» è proprio così. Senza mezzi termini. Sfacciato. Indomito. Adoro.

E sì, si sente questo DNA. Queste asperità rendono «Thunderbolts» qualcosa di molto lontano dal solito fascino dei blockbuster. È proprio questo cuore selvaggio e grezzo che batte qui. Quando Yelena spara una battuta seccamente cinica, quando Red Guardian, in piena crisi di mezza età, oscilla tra l'eroismo e l'autoironia o quando il Soldato d'Inverno vuole solo cavarsela in qualche modo, non si sente che si tratta di un copione.

Sembra vissuto.

Come una rock band dannatamente rumorosa, malridotta, ma amabile, che prende d'assalto il palco anche quando nessuno li ha chiamati. È proprio per questo che vuoi distruggerti con loro. E rialzarti di nuovo.

In breve

Il film che potrebbe rimettere in carreggiata il MCU

Quando la Marvel ha annunciato «Thunderbolts» nell'estate del 2022, sembrava un film riempitivo. Un'accozzaglia di personaggi minori dimenticati, a metà tra l'imbarazzo e il senso del dovere. Ma quello che ho visto è qualcosa di completamente diverso: un film pieno di cicatrici, di sfida, di cuore. Qualcosa che osa dove gli altri si limitano a pretendere, e che vive dove gli altri si limitano ad andare avanti.

«Thunderbolts» è il suono di una rock band distrutta che continua a suonare. E finalmente restituisce al MCU quello che speravo di ottenere da «Captain America: Brave New World», ma che purtroppo non è stato nemmeno sfiorato: una direzione. Un movimento in avanti. Un motivo per attendere con ansia il prossimo capitolo.

Dopo questo film, so di nuovo perché amo questo universo. Perché il MCU mi affascina da oltre dieci anni. E forse, solo forse, anche la Marvel l'ha finalmente capito di nuovo.

Immagine di copertina: Marvel Studios / Disney

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Scrivo di tecnologia come se fosse cinema – e di cinema come se fosse la vita reale. Tra bit e blockbuster, cerco le storie che sanno emozionare, non solo far cliccare. E sì – a volte ascolto le colonne sonore più forte di quanto dovrei.


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